Uno dei fenomeni accelerati dalla pandemia è stato quello del lavoro a distanza, adottato come misura sanitaria per difendere la società dai contagi. Nel giro di poche settimane, in Italia, tra i 6 e gli 8 milioni di lavoratori hanno continuato la propria attività lontano da uffici e fabbriche. Erano poco più di mezzo milione nel 2019. E lo stesso è accaduto in Europa, negli Stati Uniti, in Asia e in ogni angolo del globo toccato dal Covid-19.
Si è fatto così strada il concetto di smart working, in italiano traducibile con lavoro agile, un termine che si è rapidamente inflazionato fino a coinvolgere varie forme di lavoro, non tutte riconducibili al concetto originale. Ma di cosa parliamo, quando parliamo di smart working?
Sul nuovo numero del quadrimestrale Start Magazine, imprenditori, studiosi, accademici, specialisti di tecnologie, di welfare e di mercato del lavoro, hanno provato a dare una risposta, al di là del cono d’ombra speculare della denigrazione e dell’esaltazione. Un lavoro di indagine, sia sul lato delle teorie che su quello della realtà quotidiana di imprenditori, lavoratori e sindacalisti. E delle famiglie. Di coloro insomma che lo smart working lo stanno sperimentando sul campo.
Il quadro che ne risulta è quello di una rivoluzione tutt’altro che a costo zero: i cambiamenti investiranno la sfera privata dei lavoratori, i ruoli e le abitudini familiari; potranno essere un’ulteriore occasione di emancipazione per le donne, oppure una nuova gabbia, e potranno determinare nuovi squilibri salariali. Ma la nuova frontiera del lavoro trasformerà anche l’ambiente in cui viviamo e lavoriamo a cominciare dalle città, con inevitabili impatti sui centri storici, sull’immigrazione, sull’offerta di servizi e sulla mobilità urbana. Molti segnali sono già oggi visibili.
Sul piano dell’organizzazione del lavoro, il lavoro agile richiede poi un vero e proprio salto culturale da parte degli imprenditori e dei lavoratori: le prestazioni sono misurate su obiettivi da raggiungere, ci sarà più autonomia ma solo se accompagnata a più responsabilità.
Lo smart working diventa così il pilastro di una trasformazione che va al di là del mondo del lavoro e ci sfida a ripensare il nostro modo di vivere – che è poi quello che promettevamo di voler fare, una volta superata la drammatica esperienza della pandemia.
Hanno contribuito a questo numero con interviste o articoli: Alessandro Alviani, Marco Bentivogli, Fabrizio Capobianco, Giusy Caretto, Derrick de Kerckhove, Richard Florida, Elena Granata, Stefano Grazioli, Paola Liberace, Vittorio Macioce, Giuseppe Mancini, Dario Nardella, Andrea Pescino, Luca Pesenti, Gianguido Piani, Marina Salamon, Tania Scacchetti, Giovanni Scansani, Maurizio Stefanini, Ubaldo Villani-Lubelli, Arianna Visentini.